IL TRIBUNALE

    Sciolta  la  riserva  in  ordine  alla  questione di legittimita'
costituzionale  degli articoli 4 e 6 commi 2, 3, 4, 5 e 6 della legge
n. 140/2003 in riferimento agli articoli 3, 24, 68, 101 commi secondo
e segg. e 112 della Costituzione sollevata dal pubblico ministero.

                            O s s e r v a

    Nel  corso  del  procedimento  incidentale  instaurato  da questo
giudicante, su richiesta del pubblico ministero, con il provvedimento
di  fissazione  di  udienza camerale, ai sensi del combinato disposto
degli  articoli 6, comma 2, legge n. 140 del 2003, 127 e 268, comma 6
c.p.p., il p.m. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
degli  articoli 4 e 6 commi 2, 3, 4, 5 e 6 della legge n. 140/2003 in
riferimento  agli  articoli 3, 24, 68,101 commi secondo e segg. e 112
Costituzione.  In  ordine  a  tale questione i difensori hanno inteso
rimettersi alle determinazioni del giudice.
    Va  al riguardo premesso che il presente procedimento incidentale
ha  ad oggetto l'utilizzazione di alcune intercettazioni che, secondo
la  tesi  accusatoria,  costituiscono  fonti  di prova a carico degli
imputati,  tra  i quali l'on. Gianni Giuseppe, attualmente membro del
Parlamento in quanto componente della Camera dei deputati.
    Invero,  nel  procedimento  principale,  nel corso delle indagini
preliminari,  e'  stato  regolarmente  autorizzato  ed  effettuato un
servizio di intercettazione telefonica che ha riguardato delle utenze
intestate  ed  in  uso  all'imputato  Gianni  Giuseppe e delle utenze
intestate  ed  in uso ad altri soggetti ma utilizzate dal Gianni o da
altre  persone  le  quali,  esplicitamente  o  implicitamente,  hanno
riferito di condotte poste in essere da quest'ultimo.
    Sul   punto   va  comunque  evidenziato  che  le  intercettazioni
telefoniche  sulle  utenze  intestate  ed  in  uso a Gianni Giuseppe,
all'epoca candidato alla Camera dei deputati nelle elezioni dell'anno
2001,  sono  cessate  al  momento  della proclamazione da parte della
competente  commissione  elettorale  e  cioe'  nel  momento in cui il
Gianni ha acquisito la qualifica di membro del Parlamento.
    All'esito  delle preliminari indagini effettuate la Procura della
Repubblica  ha  ritenuto  di  dover procedere nei confronti di Gianni
Giuseppe e degli altri coimputati per i reati di cui agli artt. 319 e
326  c.p.  e 96 t.u. n. 361 del 1957 ed ha inoltrato istanza a questo
giudice  per  le  indagini  preliminari  di richiedere alla Camera di
appartenza  dell'on. Gianni l'autorizzazione alla utilizzazione delle
operate  intercettazioni  telefoniche  ai sensi dell'art. 6, comma 2,
legge n. 140/2003.
    Con   l'avvio   del   presente  procedimento  incidentale  questo
giudicante  ha  ritenuto, in conformita' all'interpretazione data sul
punto  dalla  Procura  della  Repubblica e condivisa, incidentalmente
dalla  Camera  dei deputati (investita della questione con precedente
richiesta erroneamente avanzata dal p.m. nel medesimo procedimento ai
sensi  dell'art. 4,  legge n. 140/2003), che tutte le intercettazioni
comunque coinvolgenti la posizione processuale dell'on. Gianni, siano
esse  intercettazioni  c.d. «dirette» siano esse intercettazioni c.d.
«indirette»,  appaiono  assoggettabili  alla disciplina dettata dagli
artt. 4 e 6 della legge n. 140/2003, nonostante durante il periodo in
cui tali intercettazioni sono state materialmente eseguite l'imputato
Gianni  Giuseppe,  attualmente  membro della Camera dei deputati, non
avesse ancora la qualifica di membro del Parlamento.
    Tale  interpretazione, volta a ricomprendere nella tutela offerta
dalla   normativa   in   esame   sia  le  conversazioni  nelle  quali
l'interlocutore   (soggetto   la   cui   utenza   viene  direttamente
intercettata  o  che partecipa a conversazioni intercettate su utenze
di  altri  soggetti)  abbia  la qualifica di membro del Parlamento al
momento  dell'esecuzione  dell'intercettazione sia quelle nelle quali
l'interlocutore acquisti tale qualifica successivamente nel corso del
procedimento  penale,  risulta  l'unica  possibile  alla  stregua dei
criteri  ermeneutici  dettatati  dall'ordinamento (sul punto appaiono
illuminanti  sia  le  osservazioni  contenute  nella  ordinanza della
suprema  Corte di cassazione sezione IV 4 febbraio e 9 marzo 2004 con
la  quale  e'  stata sollevata diversa questione di costituzionalita'
delle  norme  contenute  nella  legge n. 140/2003 sia le osservazioni
contenute nei lavori preparatori della legge in esame).
    Tuttavia   deve   ritenersi   che  una  siffatta  interpretazione
contrasti apertamente con diverse norme costituzionali.
    Invero, va innanzitutto osservato che il combinato disposto degli
articoli 4 e 6 della legge n. 140/2003 interpretato nel senso che «ai
fini dell'utilizzazione delle conversazioni intercettate in qualsiasi
forma  alle  quali  hanno preso parte persone che hanno acquistato la
qualifica  di  membri  del  Parlamento  durante  la  pendenza  sia di
procedimenti  penali  riguardanti terzi sia di procedimenti penali in
cui  essi  stessi  assumono  la  veste  di indagati e di imputati, e'
necessaria   l'autorizzazione   della   Camera  di  appartenenza  del
parlamentare»,  contrasta  con  l'art. 68 commi secondo e terzo della
Costituzione.
    Le predette disposizioni costituzionali, prevedendo la necessita'
dell'autorizzazione  della  Camera  di  appartenenza del parlamentare
soltanto   per   il   compimento  di  alcuni  atti  specificamente  e
tassativamente indicati, mirano a tutelare non le persone fisiche dei
singoli  parlamentari,  il  loro  prestigio o il loro buon nome ma la
funzione costituzionalmente rilevante svolta da costoro, funzione che
non  puo'  essere  condizionata,  controllata  o,  in qualsiasi modo,
limitata dall'esercizio di atti di indagine invasivi.
    Appare  evidente  invece,  che, estendendo la tutela di carattere
eccezionale e derogatorio di altri principi costituzionali (primo fra
tutti   quello   fissato   dallo  stesso  art. 68  per  il  quale  la
sottoposizione   del   parlamentare  a  procedimento  penale  non  e'
subordinata   all'autorizzazione   della   Camera   di  appartenenza)
apprestata  dall'art. 68  della Costituzione anche alle conversazioni
effettuate   da  persona  non  avente  la  qualifica  di  membro  del
Parlamento  all'epoca  dell'esecuzione  dell'intercettazione,  non si
tutela  piu'  la funzione del parlamentare quale rappresentante della
Nazione  e  componente  dell'organo  legislativo  e cio' perche' alle
conversazioni  tutelate  ha  preso  parte un soggetto che non riveste
alcun  ruolo  di  rilievo  costituzionale  e  tali  conversazioni non
risultano  pertanto riferibili all'attivita' propria di un membro del
Parlamento.
    Ed  ancora il combinato disposto degli articoli 4 e 6 della legge
n. 140/2003,  come  sopra  interpretato, risulta altresi' contrastare
con l'art. 3 della Costituzione.
    La  suddetta disposizione costituzionale, per come chiarito dalla
Corte  costituzionale nella sentenza 20 gennaio 2004, n. 24, sancisce
il  principio  di parita' di trattamento dei cittadini anche rispetto
alla giurisdizione.
    In  base a tale principio una eventuale diversita' di trattamento
prevista  dalla  legge ordinaria rispetto alla giurisdizione dovrebbe
trovare  fondamento nella tutela di valori sovraordinati o, comunque,
di  pari valore rispetto a quelli che vengono presi in considerazione
per  giustificare  la  diversita' di trattamento. Nel caso di specie,
invece, il diverso trattamento, riservato ai membri del Parlamento in
carica   durante   la   pendenza  del  procedimento  penale  rispetto
all'esecuzione  e all'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche
ed  ambientali  eseguite  in epoca precedente alla loro elezione, non
solo  non  trova  fondamento  nella  tutela  della  specialita' delle
funzioni  svolte  e  nel correlato diritto alla riservatezza di colui
che  di  tale  funzioni  e'  investito (beni, peraltro, elevati dalla
Costituzione vigente al rango di beni costituzionali soltanto in quei
casi  analiticamente  determinati  in  cui  opera  il  sistema  delle
immunita'  e  prerogative  dei  membri  del  parlamento)  ma e' volto
unicamente a tutelare beni non tutelati dalla Carta costituzionale in
modo esplicito o implicito, quali il prestigio del parlamentare ed il
rischio  che  lo  stesso utilizzi parte del suo tempo per partecipare
all'attivita' giurisdizionale come qualunque altro cittadino.
    Inoltre  il  combinato  disposto degli articoli 4 e 6 della legge
n. 140/2003,  nel  senso  sopra  indicato, appare contrastare con gli
articoli   24   e  101  comma  3,  in  relazione  all'art.  3,  della
Costituzione.
    La  disposizione  costituzionale  dell'art. 24 riconosce a tutti,
senza  peraltro  prevedere  limitazioni  anche  fondate su altri beni
costituzionalmente  protetti,  il  diritto di difendersi in giudizio;
l'art. 101  comma  3  Cost.,  con particolare riferimento al processo
penale,  espressamente  riconosce  a  tutte  le parti del processo il
diritto  alla  prova  che  si  esercita principalmente con il diritto
all'acquisizione  di ogni mezzo di prova alle stesse condizioni delle
altre parti processuali.
    Il  meccanismo  previsto dall'art. 6 della legge n. 140/2003, per
il  quale  in  caso  di  mancata  richiesta  dell'autorizzazione o di
diniego dell'autorizzazione richiesta «la documentazione e' distrutta
immediatamente  e comunque non oltre dieci giorni dalla comunicazione
del   diniego»   e   «tutti   i  verbali,  le  registrazioni  ...  di
comunicazioni  acquisiti  in  violazione  del  disposto  del presente
articolo  devono essere dichiarati inutilizzabili dal giudice in ogni
stato  e grado del Procedimento» introduce, viceversa, una diversita'
di  trattamento  tra  le  parti  processuali e limiti insuperabili al
diritto   di   difesa  non  solo  delle  parti  civili  eventualmente
danneggiate  dalla  condotta  illecita posta in essere dal membro del
Parlamento  o  da  altre  persone  indagate nel medesimo procedimento
penale ma anche al diritto di difesa di questi ultimi.
    Infatti,  applicando  tale  meccanismo a tutti i procedimenti nei
quali sono state intercettate conversazioni dirette ed indirette alle
quali  «ha  preso parte» una persona che successivamente ha acquisito
la  qualifica  di  membro del Parlamento, puo' concretamente accadere
che taluno sia perseguito e condannato e talaltro, al contrario, vada
esente  da  responsabilita'  penale e che, correlativamente, la parte
civile,  ottenga  o meno il risarcimento del danno e la condanna alle
restituzioni e cio' sulla base di un fatto puramente casuale quale la
presenza  o  meno,  tra  le  fonti  di  prova  del  reato oggetto del
procedimento,  dell'intercettazione  di comunicazioni o conversazioni
cui  ha  «preso parte» una persona, sia essa coindagata o estranea al
procedimento, la quale al momento della raccolta del mezzo di ricerca
della  prova  non  aveva  alcuna  qualifica  pubblicistica  di  rango
costituzionale   ma  ha  acquisito  tale  qualifica  successivamente,
durante  la  pendenza del procedimento penale con l'elezione a membro
del Parlamento.
    Ed  ancora,  sulla  scorta  di  quanto  sopra  evidenziato,  puo'
altresi'  concretamente  accadere  che  un  imputato,  il quale abbia
interesse   ad   utilizzare  in  un  procedimento  a  suo  carico  le
conversazioni  tutelate  dalla  norma in esame per difendersi in modo
pieno e senza subire limitazioni richiedendo ed ottenendo dal giudice
l'utilizzazione   delle   predette  conversazioni  intercettate,  non
potrebbe    esercitare    tale    diritto   all'utilizzazione   delle
conversazioni  «decisive»  per  l'accertamento  della sua innocenza e
quindi  non potrebbe evitare limitazioni arbitrarie alla sua liberta'
personale  tutelata  dall'art. 13  Cost.  mediante la condanna a pene
detentive,  qualora  alle  suddette conversazioni abbia «preso parte»
casualmente  una  persona  che al momento della raccolta del mezzo di
ricerca della prova non aveva alcuna qualifica pubblicistica di rango
costituzionale  tutelata  dall'art. 68  Cost.  ma  che  ha  acquisito
successivamente   tale   qualifica   con   l'elezione  a  membro  del
Parlamento.
    Infine  deve  rilevarsi  che  gli  articoli  4  e  6  della legge
n. 140/2003,  nella  suddetta interpretazione, risultano in contrasto
con gli articoli 101, comma secondo e 112 della Costituzione.
    L'art. 112  della  Costituzione  stabilisce  il  principio  della
obbligatorieta'  dell'azione  penale da parte del pubblico ministero,
mentre  l'art. 101,  occupandosi  delle  parti  del  processo penale,
stabilisce  il  principio  generale  di  uguaglianza  e di parita' di
condizioni e di poteri.
    La  disciplina  degli  articoli  4  e  6 della legge n. 140/2003,
interpretata   come  sopra  precisato,  comprime  in  modo  netto  ed
ingiustificato  l'obbligo del p.m. di esercitare l'azione penale, non
solo e non tanto nei confronti del membro del Parlamento che ha preso
parte  alle  conversazioni  intercettate  in  un'epoca  in  cui  tale
qualifica  lo  stesso  ancora  non  aveva,  ma anche nei confronti di
eventuali   coindagati   o   semplicemente   indagati   iscritti  nel
procedimento in cui sono state raccolte le fonti di prova tutelate, i
quali  «beneficeranno»  di una vera e propria immunita' non potendosi
in  alcun  modo  utilizzare  nei loro confronti i risultati di alcune
prove ordinariamente utilizzabili in tutti i procedimenti penali.
    Sulla  scorta  delle superiori considerazioni si ritiene pertanto
di  dichiarare  rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli
4  e  6  della  legge  20  giugno  2003,  n. 140  e delle altre norme
inscindibilmente  collegate  in riferimento agli i articoli 3, 24, 68
commi  secondo  e  terzo,  101  commi  secondo  e  segg.  e 112 della
Costituzione  con  conseguente  trasmissione  degli  atti  alla Corte
costituzionale.